giovedì 12 maggio 2011

IL REFERENDUM SARDO CONTRO IL NUCLEARE

di Michele Piras (Coordinatore regionale SEL Sardegna)

Il 15-16 di maggio – oltre alle elezioni amministrative – in Sardegna si svolgerà anche una consultazione referendaria tutta locale contro il nucleare. Si tratta di un referendum consultivo, previsto dallo Statuto d’Autonomia dell’Isola, il cui quesito recita ”Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”.
Con ogni evidenza si tratta di un referendum regionale – con un quorum di 1/3 dell’elettorato (poco meno di 600 mila persone) – che non ha carattere vincolante per lo Stato nazionale, che ha potestà esclusiva in materia di politica energetica.



Tuttavia – visto anche che la Corte Costituzionale (sentenza n.33 del 2011) ha riconosciuto che sul tema del nucleare il governo nazionale non può esimersi dall’acquisire il parere delle Regioni coinvolte nel piano di localizzazione dei siti nucleari – esso assume una valenza di carattere più generale e rappresenta un test di straordinario significato per verificare l’opinione di una parte di italiani in vista della tornata referendaria nazionale del 12 giugno prossimo e più in generale circa l’ipotesi di ritorno al nucleare.
La tragedia di Fukushima è davanti agli occhi di tutti. Le forti emozioni suscitate dall’immane tragedia che ha colpito il Giappone hanno riportato alla mente Chernobyl, lo spettro della nube radioattiva, la morte e la malattia disseminata per decenni a centinaia di kilometri dall’epicentro dell’esplosione.
Di nuovo in Giappone. Quasi un segnale dell’ira degli dei. A ricordare che non c’è nucleare buono. Non quello civile. Meno ancora – certamente – quello militare.
In tutto il pianeta si è generata una reazione di paura che ha indotto molti governi ad intraprendere piani di dismissione delle centrali nucleari. In Italia pare aver provocato unicamente l’effetto di un rinvio del programma nucleare del governo Berlusconi, con la chiara intenzione di far saltare anche il referendum nazionale convocato per il 12 giugno.
Ed anche qui pare proprio che gli affari del premier ”valgano ben una messa”.
Il referendum sardo diventa allora un appuntamento strategico, che tutte le forze politiche e sociali sane dell’Isola stanno sostenendo. Lo è sia che il referendum nazionale si svolga a giugno che – a maggior ragione – se dovesse essere rinviato di un anno.
La Sardegna – addirittura anche secondo Margherita Hack (ci piange il cuore ma è così) – sarebbe a detta di tutti la ”terra ideale” sia per l’ubicazione di centrali atomiche che per il sito nazionale di stoccaggio delle scorie ereditate dal passato.
Lo sarebbe per due motivi principali. In primo luogo l’assenza di rischio sismico, dato che l’Isola è una delle Regioni geologicamente più assestate del Bel Paese.
In secondo luogo per la sua particolare conformazione abitativa ”a ciambella”: ovvero un Isola di 35 mila kmq con un centro in via di progressivo spopolamento (caratterizzato da piccoli e piccolissimi paesi di 1000/3000 abitanti) e una fascia costiera e semi-costiera (particolarmente Olbia, Sassari e la cintura metropolitana di Cagliari) nella quale si ”accalca” circa la metà della popolazione sarda.
Ovviamente il freddo ragionamento sull’ottimalità non tiene conto di alcune variabili ”indipendenti”. Ad esempio del fatto che l’Isola – anche a causa delle scelte scellerate che gli speculatori edilizi amici del nostro premier hanno compiuto nel corso dei decenni – vive in uno stato di dissesto idrogeologico che non ha nulla da invidiare a casi più noti alle cronache nazionali. Ad esempio il fatto che anche i sardi – pur considerati longevi oltre la media nazionale – si ammalano al contatto con sostanze radioattive.
Ad esempio il fatto che quest’Isola – colonizzata nei secoli in molteplici varianti sul tema – è già una immensa portaerei, letteralmente occupata da migliaia di ettari di servitù militari – terrestri, aeree e marittime – fra le quali: poligoni interforze ”in affitto” (si narra che in quello del Salto di Quirra anche Mu’ammar Gheddafi abbia sperimentato le medesime armi che oggi scarica su Misurata), basi Nato, aeroporti militari (come quello di Decimomannu) dai quali in queste ore stanno partendo i tornado di La Russa alla volta della Libia.
Insomma la Sardegna dopo il crollo del Muro di Berlino è passata dal ruolo di “retroguardia” assegnatole dalla Guerra Fredda ad “avamposto” sulla nuova frontiera dei conflitti internazionali.
E supponiamo – nella peggiore delle ipotesi – una escalation del conflitto libico. Sai che bella accoppiata avere i poligoni e le centrali nucleari a portata di tiro: due piccioni con una sola fava.
Sinistra. Ecologia. Libertà. Nomina sunt omina. In Sardegna abbiamo voluto scegliere questa strada due volte. Perché abbiamo la convinzione che quest’Isola può essere altro, realmente una delle porte del Mediterraneo, in maniera naturale terra di pace e cooperazione fra i popoli. Meticcia per storia, pacifista per la sua storia, ecologica per vocazione, libera per volontà.
Perciò abbiamo pensato che – al di la della diffusa sindrome Nimby – gli indipendentisti locali (a cui va dato atto di aver promosso questo appuntamento) stavolta avessero ragione. E così ci siamo fatti trovare pronti a sostenere anche noi il referendum. Con i nostri temi. Con la nostra idea dell’Isola futura. Sapendo che solo per il sole, il vento ed il mare potremmo produrre energia e lavoro in sovrabbondanza per noi e per tanti altri senza alcun rischio per l’ambiente, le persone, il territorio e le generazioni future.
“Il mondo non ci stato lasciato in eredità dai nostri padri, ma ci viene dato in prestito dai nostri figli”.
E pensate che anche il governatore pidiellino Cappellacci in questi giorni ha dismesso il suo proverbiale zainetto modaiolo ed è salito sulla barricata antinuclearista (seppur in maniera abbastanza virtuale). Lo si vede in televisione passeggiare per sterminati prati verdi chiedendo ai sardi di andare a votare il 15/16 maggio. Che immagine idilliaca e che gioia al cuor.
Peccato che difficilmente chi è nuclearista a Roma può facilmente dirsi contrario a Cagliari. Peccato che non si è ancora ascoltata una parola del Presidente della Regione contro i sommergibili nucleari statunitensi ormeggiati al porto di Cagliari. Peccato che le stesse passeggiate naturalistiche non le faccia sulla questione dell’uso di armi all’uranio impoverito nel poligono di Quirra.
Del resto abitiamo nello stesso Paese e – al di la della percezione spazio temporale della distanza – la Capitale non è poi così lontana. I sardi presto gli chiederanno conto anche di questo.
Il nucleare è una follia sul piano ambientale, ecologico, economico ed anche occupazionale. Una follia che va sconfitta. E fra qualche giorno i sardi avranno l’occasione di dire SI contro il nucleare e contro le scorie nucleari. Per una volta si arriva per primi. Il nostro orgoglioso auspicio è di poter portare al Paese ed al Pianeta una buona notizia il 15 e 16 di maggio.
Michele Piras

Articolo preso da http://www.sinistraecologialiberta.it

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