Riflessione di Marino Canzoneri nell'ambito del dibattito avviatosi in seno a Sel in seguito a un intervento di E.Euli nella nostra mailing-list.
di Marino Canzoneri
Sandro Usai di Arbus è stato ritrovato. Riconosciuto dal tatuaggio dei quattro mori sul suo braccio. Faceva il volontario della Protezione Civile, si prodigava, una settimana fa, durante l’alluvione del suo paese in un lavoro umile ma prezioso che aveva già salvato due vite umane: sturava i tombini per far defluire l’acqua. Tombini lasciati sigillare dal caldo e dalla polvere da amministrazioni che devono ricorrere al lavoro volontario perché non hanno risorse per un minimo di manutenzione: si sa, è più importante pagare il debito lasciando che i ricchi e le banche diventino sempre più ricchi perché allestiscono per noi “debitori” interessi arbitrari sempre più alti.
I ricchi, prima o poi, ci ripagheranno investendo, creando posti di lavoro e ulteriore ricchezza. Stiamo aspettando che questo succeda da trenta anni ma siamo fiduciosi: prima o poi, appunto, verrà il nostro turno di essere invitati a tavola per consumare le briciole di una ricchezza che noi, e solo noi, abbiamo prodotto per tutti.
Ma così va il mondo nel secolo XVI, pardon nel XXI secolo. Non è ancora tornata a casa Rossella Urru di Samugheo dell’Associazione “Comitato italiano sviluppo dei popoli”. E’ stata rapita nel deserto Algerino da una cellula terroristica vicina ad Al Quaeda che in precedenza si chiamava “Salafiti per la Preghiera ed il Combattimento”, nata per combattere la sporca guerra in Afghanistan contro i Sovietici. Erano dalla parte degli assassini dei maestri elementari pubblici e per questo coccolati, finanziati e armati fino ai denti dagli USA e dagli altri paesi Occidentali. Quando si dice capacità strategica di prevedere il futuro. Non è ancora tornato a casa Francesco Azzarà, rapito il 14 Agosto a Nyala, capitale del Sud Darfur. Si occupava e si occuperà ancora, appena liberato, della logistica dell’unico ospedale pediatrico di un’area vasta quasi quanto l’Europa, quello privato e gratuito dell’Organizzazione non Governativa (OnG) Italiana Emergency.
Non posso parlare con loro ma son sicuro che il 15 Ottobre non avrebbero cambiato canale né alla terza auto incendiata né alla ennesima. Anzi, sicuramente avrebbero continuato il loro lavoro senza molto curarsi della politica politichese e dei suoi riti. Dal 2001, anno del G8 a Genova e del tentativo preordinato e quasi riuscito di impedire manifestazioni di protesta e di massa contro i governi dei paesi cosiddetti ricchi, (in precedenza, dopo Seattle 1999 che impedì le politiche di esproprio delle ricchezze dei paesi del terzo mondo, a Goteborg per un summit UE per le “riforme economiche”, la polizia sparò sui dimostranti colpendo alla gola un giovane che si salvò dalla morte ma non dalla sedia a rotelle) centinaia di migliaia di Italiane e Italiani si sono arruolati volontari presso il Servizio Civile Nazionale, sono decine di migliaia le italiane e gli Italiani che lavorano o hanno lavorato, spesso pagando di tasca propria, cifre non piccole, in Italia e in varie parti del mondo con OnG. La sola ARCI, organizzazione che conosco meglio, mette in campo, ogni anno, decine di progetti di campi internazionali (dalla Palestina ai Balcani al Medio Oriente) che impegnano centinaia di giovani. E così pure il mondo cattolico: proprio in Sudan a circa 20 km da un ospedale Emergency la missione Cattolica (in cui vi sono anche volontari italiani) di Kartoum porta medicinali nelle oasi del deserto. Non sono ingenuo e capisco che non tutto ciò che luccica è oro. Il boom del Servizio Civile soprattutto nel mezzogiorno ha anche risvolti economici, i pochi soldi che garantiva servivano, spesso, alle famiglie. Così come sono evidenti molte speculazioni e strumentalizzazioni nel mondo del volontariato: strumentalizzazioni quasi mai legate a problemi di “soldi” molto spesso legate a problemi di “leadership e di primazia”. Fatta, però, la tara di tutto ciò che è da buttare, ammesso che sia anche il 90% del tutto, rimangono sempre decine di migliaia di persone che senza strombazzare, senza esposizione mediatiche, si mettono al servizio degli altri, mettono a frutto nel volontariato la loro preparazione e il loro lavoro, quello stesso lavoro rifiutato dalla società “altra” quella ufficiale della politica, della economia e della cultura Italiana.
Non è questa politica? Non è questo il modo nuovo per rinnovare, per rivoluzionare la nostra società decadente? Rimango quindi sbalordito quando un docente universitario, un compagno di tante battaglie come Enrico Euli, invece di aiutare me, che sono impigliato in modi datati di far politica, a capire il nuovo, trascura di indicarci questi dati, non ci fa vedere come questa “indignazione” che spinge una minoranza, piccola certo, ma sempre più grande, possa trasformarsi in “forza politica”, possa trasformare ed arricchire il nostro modo di far politica. Vi è nella riflessione di Enrico una accettazione supina del terreno imposto dal potere e dai media del potere. Trascurare i 300 mila per parlare dei duemila, contrapporre la violenza del potere con la violenza dei manifestanti definendole uguali, dichiarare inutile la marcia Perugia Assisi me lo posso aspettare da un editoriale del “Corriere della Sera”, di “Repubblica” o dal “Giornale” ma non certamente da chi studia queste questioni. In primo luogo perché un’analisi di questo tipo è semplicemente falsa. I 300 mila contano e contano molto di più dei 2000 violenti in qualunque modo si sforzino i media e la politica del potere di rappresentare la cosa; in secondo luogo perché le due violenze non sono affatto uguali. Chi caccia nel precariato, abolisce ogni protezione e welfare per tutti coloro che hanno meno di 45 / 48 anni, chi condanna letteralmente a morte decine se non centinaia di “poveri” e/o “proletari” a seconda della lingua che si voglia usare (per il freddo in strada, per assenza di cure, per abbandono), chi toglie la speranza a tutti coloro che non fanno parte delle classi dirigenti, non può e non deve essere messo sullo stesso piano di chi brucia un’auto o una banca. I primi son criminali seriali che hanno il potere, e lo stanno facendo, di portare tutto il mondo “non loro” alla rovina, i secondi sono criminali spiccioli. I secondi non si rendono conto di essere la seconda faccia della stessa medaglia, di un potere che li condanna ad una non vita nelle periferie delle nostre città o nelle curve degli stadi dove vengono allevati e allenati alla violenza spesso da gruppi neo nazisti e razzisti. I primi si rendono conto della loro violenza solo che, dopo aver seminato vento, non vorrebbero raccogliere tempesta, anzi vorrebbero essere amati - i manigoldi. Questo vale anche in campo internazionale: davvero si può mettere sullo stesso piano la violenza degli eserciti più forti al mondo, che occupano paesi, uccidono centinaia di migliaia di civili, vi insediano governi Quisling, li sottomettono per rubargli qualsiasi ricchezza dal petrolio all’oppio con chi, magari usando una politica e una lingua nazista medioevale, difende la propria terra e il proprio popolo? Noi Europei i Quisling una volta finita la guerra li abbiamo impiccati, non siamo stati molto più civile degli odierni terroristi talebani. Mi domando: perché le domande di Enrico non trovano una risposta, parziale magari, nelle direzione di divulgare, rafforzare il movimento di volontariato e di associazionismo culturale che prima ho descritto? Perché ci si ricorda di loro solo nei congressi e come fior all’occhiello, ma mai come “forza” anche politica che ridà dignità al nostro paese distrutto da una classe dirigente di incapaci? Perché, invece di sognare scenari utopistici, a cui comunque dobbiamo tendere, non si cominciano a costruire reti di conoscenza e di modi nuovi di “fare politica”? Qualche idea in merito l’avrei. Il problema è di natura culturale. Lo vedo nei sorrisetti fra l’ironico e il divertito quando nei circoli politici si cerca di far inquadrare qualsiasi scelta concreta in un discorso di rivoluzione della società. La dipendenza culturale nei confronti del potere del capitalismo finanziario si annida nei nostri pensieri più profondi. Quando la politica per amministrare un comune o una provincia, anche per noi, diventa mera tecnica, quando si è incapaci di creare reti per ascoltare l’altro e ci si trasforma in “dirigenti del cambiamento” e solo ed unicamente per questo, si è i migliori da eleggere, proprio quando succedono tutte queste cose, si evidenzia la nostra incapacità di, anche unicamente, pensare il nuovo. E così il nuovo esce dall’orizzonte, non si vede più o, se lo si vede, diventa un pericoloso concorrente dei nostri piccoli privilegi di dirigenti dell’alternativa. Ecco perché dimentichiamo l’impegno al cambiamento dei nostri vicini di casa, ci si dimentica della Caritas che fa l’annuario sulla povertà e quello sull’immigrazione, magari con l’intervento del nostro vicino di casa di Iglesias, ci si dimentica dell’Arci di Iglesias e del suo impegno di far conoscere la cultura “altra” araba o rom che sia, ecco perché ci si dimentica di ricordare i nostri morti (Angelo Frammartino insegna! Chi se lo ricorda? Chi c’era ai suoi funerali?) In compenso ci ricordiamo di ciò che è asettico, lontano certamente importante. Meglio, molto meglio la sacrosanta campagna per liberare l’oscuro prigioniero di coscienza di un paese oscuro che fare una battaglia reale e vincente a favore di leggi contro la tortura in Italia. Non voglio contrapporre una cosa giusta ad una cosa giusta… voglio solo sottolineare come la nostra dipendenza culturale dal potere ce li fa, involontariamente spero, contrapporre. Quanto scritto più sopra ha come corollario l’esigenza che gli studiosi e dirigenti politici (penso alla Sardegna e ad Iglesias in particolare) valorizzino tutto ciò che è cambiamento reale, si facciano interrogare dalla realtà e non usino occhiali deformati dal loro ruolo e deformanti i mille colori del cambiamento. Insomma non possiamo accontentarci di una piccola vita politica che si accontenta di un piccolo tran tran che non cambia nulla. Non siamo dalla parte di chi è contento della situazione e deve far finta di essere scontento per raccattare più voti, siamo dalla parte di chi è scontento, anche esistenzialmente, perché siamo scontenti anche noi, per vogliamo cambiare nel profondo gli equilibri di questa società, perché vogliamo costruire una società più giusta. Insomma meno occhio ai Black Block più attenzione alle Rosselle, ai Sandro, o anche alle Giusy, ai Raffaele che ci sono vicini di casa. Cambiando prospettiva, rivolgendo lo sguardo altrove, rilanciando la nostra alterità e non subalternità potremmo forse, iniziare davvero il cambiamento e trovare quelle 30.000 persone disposte a compiere azioni nonviolente di disobbedienza civile, anche illegali (occupazioni, blocchi, sabotaggi...), e disposte quindi, eventualmente, a finire in galera e quelle 300.000 persone disposte a compiere azioni non violente di non collaborazione attiva (boicottaggi di aziende e banche, obiezioni fiscali mirate...) richieste da Enrico. Non parlo dei tre milioni di astenuti perché in Italia fra schede bianche nulle e non votanti, consapevoli o meno la cifra è ben più alta e l’esperienza democratica mostra come i governi si sentano legittimati anche con percentuali di votanti ben al di sotto del 50 / 40%. Mi sembra questa ultima frase poco più di una boutade. Sono del parere, e credo di averlo implicitamente dimostrato, che gran parte della lotta debba essere extra parlamentare. Credo però che, senza una rappresentanza politica adeguata anche nelle varie istituzioni in cui si articola la democrazia rappresentativa italiana, la lotta extra parlamentare sia del tutto inutile.
Marino Canzoneri
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